Top
Image Alt

Civiltà Appennino

  /  Aree interne   /  FLAI23   /  Un festival per “cucire” i luoghi e le opportunità

Un festival per “cucire” i luoghi e le opportunità

Primo festival del lavoro nelle aree interne, Soveria Mannelli – 25-27 maggio: un’esperienza di crescita per le aree interne

di Barbara Galli

 

Nel viaggio di ritorno da Soveria Mannelli, dopo tre giorni intensi di Festival del lavoro nelle aree interne, l’attenzione si è focalizzata su queste righe del testo – Un’ultima cosa – di Concita De Gregorio: «Un ago entra ed esce da qualcosa lasciando dietro un filo. Il segno del suo cammino unisce luoghi e intenzioni. […] Unire. Attraversare, entrare, uscire, bucare senza rompere. Trattenere e riparare», queste parole in sequenza sono la sintesi perfetta di quello che hanno rappresentato i giorni passati.

Il primo festival del lavoro si è prefigurato come un’occasione di incontro in cui studiosi e professionisti hanno avuto l’opportunità di “attraversare” le differenti esperienze che sono state illustrate. Tante sono le parole e le locuzioni che hanno “bucato” le nostre convinzioni senza romperle, ma ponendo dei semi per future discussioni e per ripensare il nostro modo di confrontarci con le problematiche che attanagliano il territorio italiano. Durante i diversi momenti di confronto è stata posta l’attenzione sulla necessità di rivedere la definizione stessa di aree interne, poiché molte delle problematiche, che hanno caratterizzato per anni queste zone, si stanno ormai diffondendo a macchia d’olio in tutto il Paese. Il periodo post covid ha completamente mutato il modo di leggere e definire i territori, attraverso nuovi attori primi fra tutti i nomadi digitali.

Alcune parole poi hanno riecheggiato nelle sale: apatia, rassegnazione, ma anche riappropriazione e nostalgia. Apatia e rassegnazione sono state lette in relazione alla diffusa mancanza di aspettative da parte dei cittadini, convinti spesso che il corso degli eventi debba essere modificato non dall’interno, ma da un attore esterno – come i protagonisti del testo di Samuel Beckett Aspettando Godot. Le comunità si sentono spesso abbandonate, e in balia dell’attesa snervante di qualcosa o qualcuno che arrivi per modificare la monotonia. Poi vi è la nostalgia del passato che è spesso legata alla rassegnazione, alla perdita, ma in realtà in molti progetti è emerso come possa essere motore per creare trasformazione nel momento in cui le comunità si riappropriano di valori culturali o economici presenti nel territorio – qualcosa che c’è, ma non si vede perché si attende qualcosa d’altro.

I progetti, presentati a Soveria – che stanno animando diverse aree del nostro Paese – hanno messo in luce come per ovviare questo stato di precarietà momentanea alcuni studiosi stiano operando direttamente sul territorio vivendo attivamente la collettività e supportandola nell’organizzare una nuova struttura sociale e produttiva; binomio indissolubile. Questi progetti operano, infatti, come un ago sulla tela, la bucano, mettendo in evidenza le problematiche, e poi proprio partendo da queste ultime iniziano a ricreare lo strato sociale per poi arrivare attraverso un lavoro collettivo, che sfrutta tutte le professionalità, a definire un progetto di sviluppo che spesso si configura come un work in progress con aspetti che si cristallizzano e altri che si modificano in base all’analisi dei processi. È una trasformazione della nostalgia e dell’attesa è «appropriazione trasformativa» una locuzione che «non solo suona incantevole, ma lo è, significa fare propria una cosa» tanto che non solo appartiene alla comunità, ma la trasforma.

A volte è necessario essere dei sognatori per dare vita a grandi trasformazioni e credere come Federico Fellini che esistano due vite, una con gli occhi aperti e l’altra con gli occhi chiusi; a volte ci si deve affidare alla verità del sogno piuttosto che alle strutture razionali e logiche con cui siamo abituati a ragionare per compiere piccole trasformazioni, ma necessarie per creare qualcosa di nuovo. Questo è quello che è accaduto a Soveria Mannelli.

 

Barbara Galli
Docentr Storia dell'Architettura Politecnico di Milano
it_ITItalian