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Civiltà Appennino

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Storie, persone e montagne nel “giardino incantato”

di Carlo Grande


 

Non al denaro, non all’amore né al cielo: chissà quanti si accorgeranno che “Il giardino incantato” (ETS) è un libro sui luoghi, sulle persone e sulle cose in disparte, come i versi e lo spirito libertario di Spoon River del poeta Edgar Lee Masters. Il Giardino è un libro filosofico e politico, che parte dagli oggetti per combattere contro la tirannia degli “cose” superflue, delle merci, della “roba”, come avrebbe detto Verga. Sono piccole cose preziose a innescare il desiderio del viaggio: una cartolina di Fosco Maraini, la lampada di un ferroviere che cammina sui binari di Bardonecchia, un disco solare occitano inciso nel cembro, brandelli di stoffa del Ladakh, frammenti di mattone e di bandiera italiana, schegge d’osso e di pietra, soldatini di stagno, granelli di sabbia di un lago, di uno specchio d’acqua dell’Asia, a 5 mila metri di quota.

Oggetti scovati in una personale boîte à mémoires, simili a quelli che ognuno può raccogliere durante i viaggi: smuoveranno ricordi e sogni, come il modellino di una gondola del padre, che per Goethe era già Venezia, come l’orario dei treni di Proust o come il pezzo di pelle di milodon sul quale Chatwin fantasticava da bambino, davanti alla vetrinetta della nonna.

Nell’impero del nuovo, del “NEW!” è un libro eretico – dietro a ogni blasfemo c’è un giardino incantato – pagine che chiamano a testimonianza eretici e personaggi della cultura internazionale, quelli che vissero e posarono gli occhi sul fantastico Piemonte, che fecero la storia d’Italia: Leonardo e Ruskin, Fosco Maraini, Werner Herzog, Simone Weil, Nuto Revelli, Rigoni Stern, Proust, Pasolini, Joseph Roth, Thomas Mann, Borges e Rimbaud, Primo Levi, Jean Giono, Mario Soldati e Giorgio Bocca, il Nobel Frédéric Mistral, Pavese e Fenoglio, Gianni Rodari e Fruttero e Lucentini, Massimo Mila, Bobbio, Sandro Pertini.

Reportage emotivo: il miglior modo di viaggiare e godere dei viaggi è rendere l’Altrove, le ore e i chilometri, “sentipensanti” direbbe Eduardo Galeano. Nelle terre alte del Nord-Ovest, dalle Alpi Marittime ai confini con la Lombardia, si possono scoprire, sulla scia del nostòs e della fantasia, le montagne e le colline che avvolgono da Nord a Sud Torino e il Piemonte: simili a una muraglia intorno a un giardino, così le videro Jean-Jacques Rousseaunell’Émile e Horace-Bénédict de Saussure, che nei Voyages dans les Alpes scorse dalla collina di Superga la magnificenza delle Alpi, del Monviso e del Rosa, la catena di montagne che si innalza al fondo della pianura.

Viaggio sabaudo e rupestre. Viaggio storico, politico e glocal. Realtà aumentata, per chi vuole imparare a viaggiare anche con la mente. Percorso nella coscienza di una terra di frontiera, che è anche varco per i migranti: ci sono molti valichi e ci sono i molti perseguitati di ieri e di oggi nelle pagine, gente in cerca di giustizia, sopra Bardonecchia e sulle montagne di Triora, al confine tra Piemonte, Francia e Liguria che videro i processi alle streghe.

“Il giardino incantato” è un viaggio per ridare valore al viaggio, negato in tempi di Covid, e alla montagna, che non è solo piano inclinato e luna park per cittadini e merenderos, ma insieme di borgate, di valli e di persone, ciascuna con un’anima che merita di essere riconosciuta e non tritata nel Grande Frullatore. È scelta politica di resistenza, recupero delle “piccole patrie” contro la globalizzazione selvaggia.

Montagne e montanari sono stati da sempre classi subordinate e le montagne frontiera e valico per i migranti. Le specificità della provincia italiana ecco da dove deve ripartire l’Italia: gli abitanti delle aree periferiche sono stati e sono classi subordinate, possono diventare la cittadinanza modello del futuro. Diventeranno “metromontanari”.

Come ha detto Franco Arminio, per salvare i paesi occorre un nuovo tipo di abitante, una nuova figura di cittadino. Giovani che realizzino un ’68 delle terre alte; la nuova ruralità sarà sempre più al centro, parte della città: montagna e la provincia producono territorio, relazioni tra le persone, animali, piante e paesaggi, producono futuro e producono mistero, il grande assente di questi tempi sbandani.

Il Giardino lo rivela fin dall’inizio, con un exergo dedicato a Robert Frost: “Sono uno che la notte la conosce./ A spasso con la pioggia / Fin dove non c’è più neanche un lampione/ Poco più avanti, a arcana altezza del cielo/ di luce un orologio proclamava /che l’ora era né giusta né sbagliata”. (Robert Frost, Uno che conosce la notte)

Carlo Grande
Giornalista, scrittore
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