Lo spazio delle aree interne e il rischio di illusione del PNRR
“Attrattività dei borghi storici”. Un avviso pubblico che chiama i Comuni sotto i 5.000 abitanti a presentare progetti entro il 15 marzo
In un recente articolo su questa rivista, Piero Lacorazza (Le persone e lo spazio. Densità demografica e sviluppo sostenibile, Civiltà Appennino, 10 dicembre 2021) ha portato giustamente l’attenzione sullo spazio, una risorsa sempre più rara e necessaria nell’era pandemica. In realtà, non è che lo spazio non ci sia; è la popolazione che è male distribuita, richiedendo politiche di riequilibrio che vadano ben oltre lo stato di emergenza. L’Italia, si sa, è il paese delle differenze, delle molte disparità territoriali, figlie del modello di sviluppo capitalistico; disparità territoriali che sono diventate inevitabilmente anche disuguaglianze sociali. Si tratta di disuguaglianze che in molti casi si configurano come vere e proprie discriminazioni tra cittadini nell’accesso alle opportunità e ai servizi, cioè ai diritti.
Premesso che credo poco al PNRR come strategia di riduzione delle disuguaglianze, ho molto apprezzato due punti dell’intervento di Lacorazza. Il primo, come ho detto, è il nesso tra spazio (risorsa sempre più rara e preziosa nelle città) e qualità della vita delle persone, che richiederebbe politiche differenziate nella organizzazione dei servizi. Il secondo è la questione cruciale del rapporto tra investimenti e spesa corrente; senza tener conto di questo si rischia infatti di investire in progetti che poi non reggeranno nella gestione, quindi non saranno in grado di durare nel tempo, come del resto è già avvenuto in tanti casi.
Si possono adottare molte griglie di lettura per osservare la geografia territoriale delle disuguaglianze. Una di questa è la densità demografica, strettamente correlata alla disponibilità di spazio: dagli oltre 7.000 abitanti per chilometro quadrato di Milano o di Napoli ai 10 o 20 di molti comuni delle aree interne, da quelli alpini del Piemonte o della Lombardia a quelli appenninici del Centro Sud e delle Isole, ma anche a zone collinari diffuse, come quelle del Molise, dell’Abruzzo o della Basilicata. In taluni Comuni la densità scende addirittura al di sotto dei 10 ab./kmq., come a Provvidenti (Cb), a Montelapiano (Ch) o a San Paolo Albanese (Pz), tanto per fare alcuni esempi (dati Istat 2021).
È ovvio che c’è più spazio a Casacalenda che a Roma, a Montieri piuttosto che a Firenze, tanto per fare altri esempi. Questo è chiaro e facilmente comprensibile: dove la densità è più bassa lo spazio a disposizione degli abitanti, pur nella diversità delle condizioni ambientali e sociali, è sensibilmente maggiore. Ma lo spazio pro-capite non è un indicatore fino ad oggi considerato per le classifiche tanto care al modello economico dominante, neanche nei ranking ufficiali che ogni anno ci propinano le agenzie o i giornali specializzati. Eppure quello spazio non è il vuoto, il niente, come potrebbe indurci a pensare la narrazione corrente della società dei consumi. Dare valore allo spazio e ai connessi stili di vita possibili nelle aree interne, al rapporto con la natura, al protagonismo individuale e comunitario, al di fuori dei modelli omologanti del tutto e subito: è questa la via per affrontare anche il problema delle disuguaglianze. Recuperare il senso della geografia e della storia, vale a dire la dimensione spazio-temporale, come condizione per riabitare i luoghi con consapevolezza e soddisfazione. Ma per farlo occorre riportare servizi (cioè diritti), restituire il maltolto, uscire da una logica solo economica, o peggio commerciale.
Riuscirà il PNRR nell’intento di ridurre i divari tra i territori? La sua attuazione sarà ancorata alla lettura delle reali condizioni di disagio dei paesi e delle campagne dell’Italia interna? A me sembra che si sia presi innanzitutto dalla necessità di spendere e di spendere presto, più che dalla elaborazione di una vera e propria strategia di intervento, da un programma calato dall’alto piuttosto che da una pianificazione partecipata dal basso, di fatto smentendo e rendendo così meno credibile l’impegno profuso con la Snai negli ultimi anni in decine di aree italiane. Ne abbiamo una prova già nel bando appena uscito per la presentazione di Proposte di intervento volte alla rigenerazione culturale e sociale dei piccoli borghi storici da finanziare nell’ambito del PNRR (Investimento 2.1 “Attrattività dei borghi storici”, Missione 1 – Componente 3). Un avviso pubblico che chiama i Comuni sotto i 5.000 abitanti a presentare progetti alla svelta, in meno di 3 mesi (entro il 15 marzo), quindi difficilmente agganciati a strategie coerenti di rinascita territoriale e a metodologie partecipative delle comunità locali. Per di più le proposte potranno essere fatte da comuni singoli o anche, intelligentemente, in forma aggregata: ma, curiosamente, non più di tre! indipendente dall’omogeneità o dalla organicità delle aree interessate.
Dal punto di vista delle risorse disponibili (1 miliardo di euro) si è stabilito di differenziare due linee:
Una linea A riservata a 21 progetti pilota per la rigenerazione culturale, sociale ed economica di un borgo individuato da ciascuna regione o provincia autonoma; una linea B per progetti locali di rigenerazione culturale e sociale di piccoli borghi storici, selezionati attraverso avviso pubblico, appunto, con ripartizione predeterminata delle risorse tra regioni, secondo criteri che non è dato conoscere, ma che vanno nel senso di dare meno alle regioni più deboli, per cui alla Calabria o al Molise spettano meno soldi che alla Lombardia o al Piemonte. Appare ovvio che la maggior parte delle risorse (linea A) sarà attribuita a pochi luoghi, scelti dalle rispettive regioni, secondo la logica di creare “eccellenze” e lasciare tutto il resto nelle condizioni in cui si trova. Non è creando punti di eccellenza che si attenuano le disuguaglianze.
Quella delle aree interne italiane è una strada bella e perduta. La strada perduta è una metafora efficace del tempo che viviamo, un declino che attende una rinascita. Come ha osservato l’urbanista Alberto Ziparo (Il Fatto Quotidiano del 13 dicembre 2021), il Pnrr – Piano di Ripresa e Resilienza che dovrebbe assicurare futuro e duraturo benessere al Paese – è in realtà un documento che, nonostante l’enfasi sulla digitalizzazione, ripropone logiche vecchie e consolidate. Manca in sostanza una visione strategica, ambientale e paesaggistica da dare ai progetti, una metodologia partecipativa senza la quale questi si riveleranno interventi episodici, non in grado di durare e di alimentare una effettiva strategia di rinascita, guidati solo dalla logica di portare a casa qualcosa e di creare qualche rara ‘eccellenza’ per poi poter dire “l’abbiamo fatto”. Comunque, all’opera – lo spazio c’è – e aspettiamo la responsabilità creativa dei proponenti e quella altrettanto ardua dei valutatori delle proposte.
Credits: Foto copertina di jacqueline macou da Pixabay