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Civiltà Appennino

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Ma quando arrivi treno. Ferrovie e diseguaglianze nell’Italia delle aree interne

di Luisa Corazza


 

Sono passati quasi cinquant’anni dalle parole di Edoardo Bennato “Ma quando arrivi treno, Portami lontaaaahaaaah haaaaah hey, Portami lontano, Ma quando arrivi…” (l’album Non farti cadere le braccia è del 1973) e ancora il treno, in gran parte del nostro territorio, non arriva. La mappa che abbiamo davanti colora infatti l’Italia in base alla distanza in linea d’aria dalle stazioni ferroviarie: emergono zone scure nell’arco alpino, lungo tutta la dorsale appenninica, dalla Liguria alla Calabria, nella Sardegna orientale, settentrionale e meridionale, nella Sicilia sudoccidentale e settentrionale.

Curiosamente, questa mappa è sovrapponibile a quella delle aree interne fornita dall’Agenzia di coesione territoriale, e in particolare ricalca le aree qualificate come periferiche e ultraperiferiche dalla SNAI. Del resto, che la questione dei trasporti sia cruciale nel discorso sulle aree interne è dimostrato dal rilievo conferito alla mobilità dalla stessa Strategia nell’individuazione dei servizi di cittadinanza (G. Carrosio, A. Faccini, Le mappe della cittadinanza nelle aree interne, in A. De Rossi “Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli, 2018).

Ma l’Italia delle diseguaglianze emerge, parlando di treni, anche dal Rapporto Pendolaria 2021 presentato il 2 febbraio scorso da Legambiente: il trasporto ferroviario si è via via sviluppato in modo diseguale, privilegiando solo alcuni corridoi di comunicazione. Il divario territoriale si è, poi, approfondito negli ultimi anni in ragione di alcune scelte strategiche nazionali (concentrate sugli investimenti nell’alta velocità e poco attente alle linee intercity e ai treni regionali) nonché del diverso approccio delle singole regioni (che non hanno integrato allo stesso modo il plafond di finanziamento nazionale), con un risultato finale che vede fortemente penalizzato il Sud (scenario tra l’altro ben descritto in letteratura, basti vedere L. Bianchi, A. Fraschilla, Divario di cittadinanza. Un viaggio nella nuova questione meridionale, Rubettino, 2020, che dedica il secondo capitolo alla “bassa velocità” dei trasporti meridionali).

Oltre allo storico divario Nord-Sud emerge, tuttavia, un’altra e forse più antica dimensione della diseguaglianza territoriale, dove a fronte di una parte del paese che accorcia le distanze grazie ai treni dell’alta velocità, ci sono intere zone – quelle interne – tagliate fuori in radice dalla stessa idea del treno (perché troppo lontane dalle stazioni), o servite da linee monobinario o da linee non elettrificate. È l’Italia delle aree interne, teatro di viaggi estenuanti dove le ore impiegate per coprire poche centinaia di chilometri si moltiplicano, in cui spesso il tragitto ferroviario è integrato da un tratto in bus o si presta, più felicemente, a interpretazioni romantiche come quella della splendida linea che collega Isernia e Sulmona, battezzata “Transiberiana d’Italia” perché consente di compiere, in treno, un’incursione nell’Appenino abruzzese e molisano.

Eppure, non tutto è perduto: con il Recovery Plan, secondo Legambiente, è possibile trasformare la mobilità del paese. Una parte consistente dei finanziamenti europei funzionali alla ripresa dovrebbe in effetti essere destinata alla questione ferroviaria, e ciò non solo in omaggio a uno dei concetti fondanti della geografia economica, che annovera il trasporto tra i principali driver dello sviluppo (S. Bologna, Trasporti e logistica come fattori di competitività di una regione, in P. Perulli (a cura di), Neoregionalismo. L’economia arcipelago, Bollati Boringhieri, 1997), ma anche per la curvatura ecologica che caratterizzerà il piano di ripresa, per sua natura in conflitto con il potenziamento del trasporto su strada (gli interventi dovranno rispettare il principio che vieta di arrecare danni significativi all’ambiente, per cui la realizzazione di grandi progetti stradali o autostradali dovrebbe essere automaticamente esclusa).

E’ dunque essenziale che i progetti su cui si articolerà il Piano di ripresa tengano conto della dimensione complessa dei divari territoriali italiani, dove le aree interne scontano una difficoltà atavica nell’accesso al trasporto ferroviario. Vi è stato, infatti, chi ha visto proprio nella lontananza dai principali Hub su cui si concentra la logistica del mondo globalizzato una delle cause primarie dello spopolamento delle aree interne, tagliate fuori da quella mobilità di merci, persone e, alla fine, anche capitali che grazie all’affermarsi delle catene globali del valore ha finito per valorizzare soprattutto i territori più connessi (S. D’Acunto, Lavoro in rete e squilibri territoriali. Un’occasione per le aree interne? In OpenTLC Magazine, 15 novembre 2020).

A ciò si aggiunga che la svolta green a cui dovrebbe finalmente essere importata l’economia del futuro tenderà a privilegiare trasporti alternativi a quello automobilistico, marginalizzando ulteriormente le zone prive di accesso a stazioni, porti e aeroporti e raggiungibili, per l’appunto, solo in automobile: in una economia più rispettosa dell’ambiente, la distanza dalle stazioni porterà con sé maggiori costi sociali e il treno per andare lontano potrebbe non arrivare mai.


Credits foto di copertina: Foto di Peter H da Pixabay

Luisa Corazza
Luisa Corazza è professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università del Molise, dove dirige il Centro di ricerca per le Aree Interne e gli Appennini (ArIA). Dal 2015 è consulente del Presidente della Repubblica per le questioni di carattere sociale.
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