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Civiltà Appennino

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Con bisacce e pane nero, alla ricerca di erbe ed equilibrio

di Gianni Palumbo

 I nuovi raccoglitori, “botanofili” che attraversano l’Appennino. 

Vanno in giro per erbe, si tratta di piccoli gruppi di donne, uomini e bambini, con bisacce, con dentro piante officinali, pane nero, semi (magari appena un po’ abbrustoliti), frutta secca e tuberi; un contenuto sobrio, essenziale, per un apporto proteico-vitaminico corretto, frugale ma giusto. Non sono (solo) botanici, potremmo, più correttamente, definirli “botanofili” (che nel XIX secolo, di fatto, affiancavano i botanici professionisti nelle erborizzazioni). La gente che oggi attraversa gli Appennini è composta, tra gli altri, da nuovi raccoglitori, divenuti tali non per bramosìa bucolica, ma per riappropriarsi di antiche conoscenze, per ricercare un nuovo equilibrio. Un equilibrio generato dalla lettura della realtà, dalla pratica della ricerca di alternative al vivere caotico dei luoghi sovraffollati, da moti personali che ti rimettono direttamente in gioco, in un rapporto diretto con la natura, individui che si riconoscono in una nuova ricerca collettiva, fatta di lieve approccio al suolo, di amorevole rapporto col territorio, di riappropriazione di spazi dimenticati, di luoghi incolti, di montagne impervie, di paesi abbandonati. E la pratica di questi nuovi equilibri, nell’aspra solitudine di luoghi apparentemente inospitali, prevede anche l’uso di ricoveri naturali riattati, riusati, ripristinati.

Non un ritorno al passato, ma l’azione calibrata, ricercata, per un nuovo equilibrio col presente e col futuro.

E così, con disarmante semplicità e una gran voglia di apprendimento, derivante dalla conoscenza attenta del mondo vegetale, che si procede alla ricerca di piante alimentari e di piante curative, racchiuse nel concetto di fitoalimurgìa. Si ricercano piante per misticanze dai gusti antichi, ma anche piante tintorie, oltre che fitoalimurgiche; si impara anche a rilavorare il legno, con tutti gli accorgimenti utili per creare buoni utensili, l’abete e il faggio per le sedie e i tavoli, il castagno e le querce per le botti e i tini, l’acero per gli attrezzi da cucina, il carpino per strumenti musicali come le lire o più tradizionalmente per i gioghi e le ruote, il frassino per gli utensili robusti, il nocciolo, la ginestra e il lentisco per le gerle e i cesti.

Gruppi, più o meno piccoli, di persone che si offrono vicendevolmente ospitalità e, nel farlo, riscoprono il piacere e il gusto proprio di chi appartiene a luoghi marginali, ma al contempo vivi e autentici. La riscoperta di passioni e possibilità dettate dalla pratica manuale, da un nuovo senso di comunità solidale, dall’energia ritrovata del cibo sano e basilare, dalla gioia di ristabilire, appunto, quell’equilibrio con madre Natura che la modernità ha progressivamente stritolato nelle maglie sempre più strette e incessanti della produzione del mondo capitalista. Loro, questi nuovi giovani, la maggior parte dei quali non ha neanche vissuto le contraddizioni novecentesche della dualità capitale-lavoro, hanno intuito che è nella ricerca di nuovi equilibri e buone pratiche la possibilità di fare pace col pianeta. Con ogni probabilità nessuno di loro conosce Greta Thunberg direttamente, ma quell’incrocio, tra vecchie e nuove generazioni di molti differenti luoghi, ha la forza rigeneratrice di una coscienza collettiva che intende sconvolgerci positivamente.

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Servono nuovi equilibri per dei cambiamenti positivi, un po’ come ci ricorda Piero Lacorazza, in un suo editoriale di poco tempo fa su questo web magazine, uno shock da pandemia, quella che stiamo drammaticamente vivendo, in un mondo che cambia, serve anche a ripristinare nuovi equilibri, a evitare che “la valanga climatica trascini via per sempre equità, opportunità e benessere”. Ed è questo, in definitiva, l’insegnamento dei nuovi raccoglitori, non un ritorno alla preistoria ma l’ingresso nella storia, in una nuova storia, ricca di conoscenze naturali, di un nuovo rapporto con la terra, di una rinnovata ricerca fatta di nuove prassi e conoscenza, per una redistribuzione delle opportunità a partire dal valore aggiunto di biodiversità e la certezza che è nel rispetto della natura la chiave per poter continuare a garantire il futuro a una tra le specie ospiti nel grembo dell’Universo.

Ecco, quindi, che è proprio tra le isolate valli appenniniche, tra i monti impervi – dove la res nullius permette una possibile collaborazione tra le persone semplici – che nasce una nuova opportunità per tutti ma che non a tutti è dato di cogliere. Si tratta di un avamposto privilegiato, l’Appennino (e gli “appennini” del mondo), da dove riprendere a tessere l’ordito delle storie migliori per l’umanità. Ed è nelle “case delle erbe”, ormai presenti in molti luoghi della dorsale montuosa lungo la Penisola, che l’arcipelago dei raccoglitori ci invita a vivere esperienze nuove e capaci di farci riscoprire la bellezza di ciò che non riusciamo nemmeno più a scorgere, nascosta oltre la coltre di ovvietà di un quotidiano che negli ultimi decenni ci è parso obnubilato e confuso.


Credits foto: Gianni Palumbo

Fig. 1: i raccoglitori in ascolto di Maria Sonia Baldoni, esperta raccoglitrice, conosciuta come “la sibilla delle erbe”

Figg. 2 e 3: due momenti dopo la raccolta di erbe spontanee da parte di un gruppo di giovani raccoglitori e la preparazione, a fini didattici, di erbari artigianali suddivisi per gruppi di piante.

Gianni Palumbo
– naturalista/ornitologo
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