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Uno shock che cambia?

di Piero Lacorazza

“La divaricazione tra la quasi anarchica vitalità della società e la crisi dei più importanti strumenti istituzionali di programmazione, di intervento pubblico e di governo”. Questo scrive il Censis nel 1982 nel commentare l’opportunità sprecata di un diverso modello di sviluppo che avrebbe potuto determinare lo shock petrolifero nel precedente decennio. Negli anni  Sessanta si era già aperto un dibattito sul limite delle risorse naturali e su uno sviluppo a rischio sostenibilità e tra i principali ed autorevoli protagonisti di questa sensibilità culturale c’è il Club di Roma, fondato nel 1968 da Aurelio Peccei, non un “ambientalista” ma un imprenditore.
Quando nel dicembre del 1973, per il combinato disposto della riduzione della disponibilità e l’aumento del prezzo del petrolio, l’Italia si trova a piedi, si è già avviato nel mondo un confronto che mette al centro una marcata riflessione sui limiti dello sviluppo. Non mancarono negli anni successivi allo shock petrolifero nuovi e diversi comportamenti – utilizzo della bici, pratiche di riuso e riciclo – e tentativi importanti della ricerca e della impresa di andare verso una mobilità elettrica e una edilizia sostenibile.
Insomma per farla breve ci dice il Censis che le istituzioni non ci hanno creduto e non hanno investito in un cambio di modello; una società “non vive a lungo senza istituzioni” che possano determinare nuovi “indirizzi e rotte di navigazioni per il futuro”.
Ecco, siamo oggi allo stesso punto?
Prima del virus Covid 19, uno shock da pandemia, nel mondo un movimento giovanile – di nuovo come negli anni 60/70 un’avanguardia culturale e politica – mette al centro delle mobilitazioni il valore dell’ambiente e il pericolo che la valanga climatica trascini via per sempre equità, opportunità e benessere. Questo è Friday for Future.
Ma potremmo fare tantissimi esempi e riferimenti ad un’attenzione crescente alla sviluppo sostenibile che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ha declinato concretamente in 17 goals e 169 target. ASviS (Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile) se ne occupa da tempo e la Fondazione Appennino è parte da oltre un anno di questa rete.
È arrivato il Covid 19 che ci ha costretti ancor di più a riflettere sul sistema e sulla organizzazione sociale su cui abbiamo galleggiato per consuetudine e prigrizia senza aver avuto il coraggio, trattenendo il respiro, di andare in profondità. Ma sapevamo che in profondità il mare di questa società ci consegnava verità e ingiustizie, ci metteva di fronte a contraddizioni evidenti per il lavoro, l’ambiente, il welfare, la pubblica amministrazione, lo sviluppo.
Come dopo lo shock petrolifero, anche in questo caso, siamo e saremo in presenza di una vitalità della società che non può essere consegnata ad una “quasi anarchia”, o alla resilienza di singoli, di comunità e di territori.
Per cambiare modello, investire nelle sostenibilità dello sviluppo, per creare lavoro e cambiare il welfare servono istituzioni che diano qualità e rotte di futuro “ai più importanti strumenti di programmazione, di intervento pubblico e di governo”. Crediamo che l’Italia sia di nuovo ad un bivio e noi, Fondazione Appennino e Civiltà Appennino, siamo impegnati per imboccare la strada giusta.


(credits: Foto di Goran Horvat da Pixabay)

Piero Lacorazza
Direttore Fondazione Appennino Direttore responsabile Civiltaappennino.it
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