Il senso dei luoghi, paesi oltre i borghi
di Marta Lombardi
Un esercizio ha accompagnato negli anni dell’infanzia le vacanze estive al mare: comprendere lo spazio fisico che si sviluppava nel tragitto tra il paese, la casa, e il bordo dell’acqua. Un rituale semplice che consisteva nel sostare a riva e cercare di afferrare la natura di quel limite, ricostruire una geografia immaginaria che terminava con quel confine: il mare era il margine, alle spalle un mondo aperto verso l’interno, al centro.
Da adulta ho scoperto che l’orizzonte si è ribaltato, e che il margine vero era quello da cui provenivo: non potevo saperlo ma a quanto pare ero una bambina che sentiva la geografia sulla sua pelle, e che viveva in un luogo definito area interna. Un ulteriore scarto dialettico avrebbe poi trasformato il paese in borgo, alimentando un racconto utopico di luoghi da riabitare grazie ad una connessione internet all’avanguardia.
In entrambi in casi il quadro era chiaro: il centro era tale solo per via della sua posizione geografica e da lì ci si sarebbe presto spostati per cercare di appagare la curiosità verso il mondo e per ampliare il ventaglio delle possibilità.
Secondo il rapporto Migrantes, di “Italiani nel Mondo”, presentato pochi giorni fa, dal 2006 al 2022, la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, con una percentuale della componente giovanile, 18-34 anni, pari al 42% delle partenze annuali per solo espatrio. Tra gli italiani residenti all’estero quasi la metà ha lasciato il Meridione, il 47%, mentre più di 2,1 milioni (il 37,2%) proviene dal Nord Italia e il 15,7% è, invece, originario del Centro Italia.
Ci si sposta innanzitutto per motivi di studio e lavoro, ma è un resoconto diverso quello che emerge dal rapporto Giovani dentro, elaborato dall’associazione Riabitare l’Italia, secondo il quale più della metà dei giovani tra i 18 e i 39 anni, desidera restare o tornare, a vivere e lavorare, nel proprio paese di origine. La ricerca, durata circa un anno, che l’associazione ha concluso nel 2021, ha indagato le motivazioni alla base delle scelte di vita di circa 3000 persone che abitano o provengono da aree interne, così come definite dalla strategia SNAI. Il progetto, strutturato in 4 diverse fasi di analisi, si è concentrato nella seconda fase, proprio su un campione di abitanti residenti in questi territori, ed ha evidenziato come l’80% ritiene di vivere in una comunità di cui si sente parte, caratterizzata da forti legami interpersonali e in caso di necessità di poter contare sui proprio famigliari o su una rete di affetti che vive nell’area interna di riferimento.
Non è forse a questo tessuto sociale variegato, che si va disfacendo inevitabilmente a causa del calo demografico, che occorre quindi guardare quando si pensa a politiche di rigenerazione per i piccoli paesi? Un apparato che trova forza e ragione di resistere se supportato da una capillare presenza di servizi sul territorio e da una vivacità culturale che può stimolare la crescita. Bisogna superare la retorica della restanza ad ogni costo, per comprendere che la vera rivoluzione è avere la possibilità di scegliere se partire e quando, e se, tornare.
Per farlo bisogna ampliare il raggio d’azione e guardare al territorio nella sua totalità, come un sistema interconnesso di condizioni morfologiche caratterizzanti, ma problematiche strutturali comuni: la cosiddetta Italia minore rappresenta il 69,85% dei comuni italiani, e conta 5.521 comuni con un numero di abitanti inferiore ai cinquemila, distribuiti in larga misura lungo le catene montuose. Seguendo la dorsale appenninica e tracciando una linea immaginaria si possono seguire anche le centinaia di proposte di rigenerazione economica, sociale e culturale destinate proprio ai piccoli borghi attraverso il PNRR. Una costellazione di progetti che ha lo scopo di mettere in campo iniziative atte a contrastare lo spopolamento dei piccoli centri, distribuita in territori rurali fragili, dove la capacità progettuale ha lasciato spazio soprattutto alla logica dell’emergenza.
Non si può parlare di Appennino senza parlare di terremoto, di messa in sicurezza, di infrastrutture e servizi sanitari di base, e tuttavia, non si deve pensare al piano di ripresa come ad un solo strumento capace di sopperire alla carenza infrastrutturale che caratterizza le aree interne: gli interventi devono seguire una condizione di prossimità, rinsaldare una dimensione vicinistica in grado di consentire una soddisfacente vita di comunità, creare brani di territorio compiuti, in grado di soddisfare i bisogni, non solo primari, di ogni cittadino.
La cultura dei luoghi e delle genti deve essere in questo protagonista assoluta, perché lo spazio senza gli uomini che lo abitano non ha senso e, perché, a volte, ‘’per poter abitare un luogo, bisogna anche un pò inventarlo’’ (Katerina Iliopoulou).
Credit foto copertina: Lorenzatesoro, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:La_piazza_di_Aliano.jpg