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Civiltà Appennino

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Il suolo intelligente ma ferito delle nostre montagne ha bisogno delle nostre cure

di Paolo Pileri


 

Se c’è un posto in Italia dove dovremmo moltiplicare gli sforzi per tutelare tutto il suolo che c’è, quel posto è fatto da tutte le aree di montagna d’Italia. Ogni quarantacinque minuti registriamo una frana o uno smottamento o uno scivolamento da qualche parte e, più di nove volte su dieci, quella parte è un pendio, Appennino o Alpi. A furia di scivolare a valle, sulle montagne non resta più nulla e perdiamo agricoltura, aziende agricole, posti di lavoro, futuro e quindi tanti giovani.

Lo spopolamento, del quale giustamente ci lamentiamo da anni, non è disgiunto dalla cura costante che riserviamo ai nostri territori. E non basta neppur aggiungere i servizi mancanti se nel frattempo non capiamo che è la trascuratezza a condannare a una rapida obsolescenza ogni investimento esogeno che facciamo.

L’ultimo rapporto ISPRA sui dissesti idrogeologici parla molto chiaro: il 20% del territorio italiano ha i piedi piantati in aree a pericolosità di frana e/o in aree attenzionate per frana. Un milione e trecentomila abitanti italiani vive sotto la scure di una frana pericolosa e di questi il 13% sono giovani con età inferiore ai 15 anni, un dato che da solo già ci dà una motivazione dello spopolamento delle nostre montagne. Ma come se non bastasse, più di 550.000 famiglie, più di 565.000 abitazioni e più di 220.000 posti di lavoro sono a medio alto rischio (Trigila, 2021).

Uno scenario del genere è un chiaro messaggio alle agende dei governi nazionali, regionali e locali: di questo e non di altro occorre occuparsi in modo prioritario. Ma c’è di più. Quando un versante frana, smotta o cola si porta via prezioso suolo agricolo o boscato e con esso la già fragile agricoltura di montagna. Ogni frana cancella posti di lavoro agricolo e riduce la superficie coltivabile italiana. Sono 60.481 i km2 di territorio in odor di frana dei quali potremmo perdere il fertile suolo. Il suolo è una delle risorse ecologiche più vitali in sé e per tante economie di una parte consistente del nostro Paese.

Un suolo fragile in un paesaggio fragile. Un suolo che se avessimo curato nel passato oggi concorrerebbe a diminuire le nostre dipendenze alimentari con l’estero e avremo tanti prodotti di qualità che invece abbiamo perso. Un suolo fragile ma cruciale per le agricolture di montagna ridotte al lumicino anziché aiutate a crescere. Il suolo agricolo è una risorsa locale impareggiabile per le aree interne montane, assieme a tutto il corredo di terrazzamenti, strade forestali e rurali, sentieri e architetture rurali.

Tutto il patrimonio materiale e immateriali della montagna, a ben vedere, è in qualche modo legato alla buona salute del suolo. Ed è da qua, sempre da qua, che bisognerebbe ripartire ogni volta che si vuole tentare una qualche politica di rigenerazione. Al momento però non sembra andare così. Il capitolo della tutela del suolo nelle aree interne, e ancor più in quelle montane, non è segnato da nessuna parte come una priorità. I Governi continuano a essere miopi: non vedono dove poggia tutto quell’immenso paesaggio e le sue società. Non riescono a capire che il futuro ha bisogno di suolo e che sul suolo possiamo costruire proposte di futuro per i giovani. Continuiamo a pensare invece che iniettando cemento sottoforma di strade, servizi, turismo, energia e logistica noi risolveremo tutto. Ma non è così o almeno non potrà esserlo se prima non sarà sottoscritto un patto di tutela e rispetto per la risorsa più intelligente e meno resiliente che abbiamo e dalla quale tutti noi dipendiamo vertiginosamente, assieme all’acqua.

Il suolo non preoccupa nessuno semplicemente perché abbiamo perso di vista cosa è il suolo e quanto ancor più strategico sia nelle piccole e medie economie delle aree più marginali e fragili del Paese. Dall’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suolo emerge che già il 5,4% del suolo appartenente alla fascia altimetrica tra i 300 e i 600 metri è stato cementificato. A questo si deve aggiungere un ulteriore 2,1% di territorio cementificato al di sopra dei 600 m. (Munafò, 2021). Se avessimo i dati sulle aree agricole abbandonate e magari sulle aree contaminate e magari su quelle impraticabili per i mezzi agricoli e magari sulle terre che molti speculatori stanno accaparrando per poggiare pannelli solari sfruttando la paura di una crisi energetica, ne uscirebbe un quadro ancor più preoccupante dei suoli montani.

Purtroppo vediamo, quando le vediamo, le ferite del suolo una a una e ci sembrano sempre meno sconnesse tra loro e meno gravi di quanto sono in verità. Non è così. Dobbiamo imparare a vedere il suolo come un corpo unico e leggere su quell’unica pelle tutte le ferite che ha accumulato e che noi, non la natura, ha inflitto. Su quelle ferite non solo faremmo bene a piangere, ma dovremmo avere il sacrosanto coraggio di invertire i piani e le consuetudini maledette con le quali abbiamo portato quei suoli fragili a schiantarsi e darci un gran daffare dall’altro per risanarle con un progetto unitario di territorio e di appennino, figlio di una unica visione di rigenerazione, di una grande volontà di tutela. Una idea di tutela che non significa ingessare nessuno ma, al contrario, aprire a nuovi orizzonti. E credo che le prime due cose da fare siano parlarne e fare una grande alleanza tra i comuni dell’Appennino. Oggi non parliamo della risorsa più importante che abbiamo sotto i piedi e che soffre. Non ne sappiamo nulla. Dobbiamo moltiplicare le occasioni per parlarne, per formare chi governa, per raccontarlo ai giovani, per generare una narrazione di suolo della quale andare fieri. Con questo orgoglio di terra sicuramente vedremo la rigenerazione della fragilità delle nostre montagne con uno sguardo nuovo. Ne sono certo. Perché l’intelligenza del suolo, appena la conosci, la rispetti e ti contagia. Buon Appennino a tutti.

 


 

Bibliografia
Munafò, M. (a cura di), 2021. Consumo di suolo, dina-miche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2021. Report SNPA 22/21
Pileri P. (2022), L’intelligenza del suolo, Altreconomia
Trigila A., Iadanza C., Lastoria B., Bussettini M., Barbano A. (2021) Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio - Edizione 2021. ISPRA, Rapporti 356/2021
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Credit: Foto copertina di Tumisu, da Pixabay
Paolo Pileri
Professore di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. Responsabile del progetto VENTO la lunga ciclovia da Venezia a Torino.
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