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Civiltà Appennino

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In direzione ostinatamente contraria, ovvero il rischio dell’inutilità del PNRR per le aree interne

di Augusto Ciuffetti


 

I temi delle aree interne e dei borghi da rigenerare sono sempre più presenti nei dibattiti che si stanno sviluppando intorno al PNRR, ai bandi per i fondi strutturali e in riferimento alle politiche per la coesione territoriale. Con linguaggi solo in apparenza nuovi e con prospettive che sembrano inedite solo perché declinate formalmente in modo più originale rispetto al passato – ma da quanti decenni si parla di rivitalizzare o valorizzare i borghi delle aree interne? – si ripropongono dei contenuti già ampiamente noti e forse in parte anche superati e, come di consuetudine nel nostro Paese, funzionali solo alla spartizione delle ingenti risorse finanziarie che dovrebbero arrivare dalla comunità europea.

Da un lato si sottolinea la necessità, ma anche l’opportunità di elaborare dei progetti di grande qualità e valore, di coinvolgere direttamente i piccoli comuni e di favorire l’individuazione di procedure partecipative. Dall’altro sappiamo molto bene, anche a causa dei tempi estremamente ridotti per mettere a punto i progetti stessi, che tutto ciò rischia di rimanere relegato nell’ambito dei buoni propositi. Le comunità chiamate ad elaborare i progetti spesso non hanno le competenze per farlo ed è assolutamente fuori da ogni dimensione reale che questo meccanismo possa favorire l’emergere di nuove e più giovani competenze rispetto ai tradizionali profili di funzionari stanchi e del tutto disinteressati.

Del resto, in una fase storica fortemente segnata, in generale, da un’evidente difficoltà della politica a svolgere le sue funzioni, che si somma ad un livello non particolarmente elevato degli amministratori locali, i comuni sono spinti a riproporre vecchi progetti accantonati in qualche cassetto in attesa di “tempi migliori” ormai superati, se non addirittura improponibili rispetto ai nuovi scenari economici ed ambientali.

La tipica tendenza italiana di andare semplicemente a sanare delle vecchie situazioni, senza immaginare percorsi di progettazione del tutto nuovi e quindi adeguati alle esigenze del momento, è sempre presente. Si tratta di una tendenza molto forte e spesso, purtroppo, anche vincente.

In uno scenario di questo tipo, la condivisione e la partecipazione “dal basso” rischiano di trasformarsi per l’ennesima volta in una vuota retorica, così come la centralità delle giovani generazioni, sempre evocata, ma in realtà mai praticata fino in fondo.

Allo stato attuale, pur considerando le dovute eccezioni, le piccole comunità delle aree interne non sono in grado di farsi promotrici di una valida progettazione territoriale (il rischio è quello di una frantumazione che inevitabilmente determina nuove gerarchie con disuguaglianze sempre più profonde), così come risulta evidente l’impossibilità per associazioni e gruppi di ricerca locali di inserirsi attivamente in processi e meccanismi di spartizione delle risorse che tendono a privilegiare enti, istituti, amministrazioni, università e spazi urbani più forti dal punto di vista del peso politico, ma che magari non hanno nemmeno legami e collegamenti diretti e costruttivi con i territori stessi.

Per le aree interne e in modo particolare per gli spazi montani della dorsale appenninica, dove ormai da molto tempo si concentrano interessi e visioni economiche che nulla hanno a che vedere con gli equilibri ambientali e sociali di questi territori, le logiche che stanno orientando il PNRR, rivolte ad incentivare singole progettazioni, incapaci di escludere a priori rapporti di tipo clientelare, rischiano di determinare un colossale e pericoloso fallimento. Non serve a nulla mettere in concorrenza tra di loro i borghi per privilegiarne qualcuno, in una sorta di assurda lotteria. A cosa serve rivitalizzare un villaggio di montagna, magari adottando delle innovative ed avanzate soluzioni architettoniche, dimenticando il più ampio e vitale tema dello spopolamento legato alla totale assenza di ogni opportunità economica, quando l’intero territorio circostante resta immerso nella depressione e nella marginalità?

Un PNRR immaginato in questo modo e una gestione dei fondi strutturali di questo tipo sono del tutto inutili. È indispensabile evitare la frantumazione e la pratica ricorrente della semplice sommatoria di tanti singoli progetti destinati a rimanere separati e distanti.

Se è vero che il PNRR è un piano, allora è necessario che sia considerato a tutti gli effetti come tale e che abbia una forte visione strategica unitaria (non omologante). In altre parole, basterebbe tornare a fare quello che, su un piano squisitamente politico, non si fa più in Italia, almeno dagli anni del miracolo economico: cioè pianificare e programmare, ma in una prospettiva “alta” e possibilmente distante dagli umori del più becero localismo.

L’area interna della dorsale appenninica italiana è soltanto una e necessita di un unico grande progetto strategico di rilancio, gestito con criteri uniformi sul territorio, attento alle infrastrutture, ai servizi e a tutti quei meccanismi in grado di attivare nuovi percorsi imprenditoriali in sintonia con i suoi paesaggi naturali e sociali.

A chi vive e lavora in aree considerate depresse, isolate, colpite da drammatiche catastrofi naturali non interessa il bel borgo recuperato, pronto a gareggiare nel concorso del villaggio più bello d’Italia, ma l’immediatezza dei problemi quotidiani e la possibilità di continuare a condurre la propria esistenza in modo dignitoso, senza perdere il contatto con la propria terra.

 


credit foto di copertina  Strada Prospettiva Punto Di Fuga - Foto gratis su Pixabay
Augusto Ciuffetti
Augusto Ciuffetti è ricercatore e docente di storia economica e sociale presso la Facoltà di Economia Giorgio Fuà dell’Università Politecnica delle Marche.
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