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Civiltà Appennino

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La sostenibilità è il fine, la misura è il mezzo

di Piero Lacorazza


 

“Divari”, “distanze”, “percorsi” indicano grandezze che senza una misura non avrebbero senso. La misura “è il valore numerico – si legge sulla Treccani – attribuito a una grandezza, ottenuto ed espresso come rapporto tra un grandezza data e un’altra della stessa specie assunta come unità (unità di misura), e determinato con opportuni metodi o strumenti di misurazione”.
Senza la misura non esisterebbero i “divari”, le “distanze”, anche le disuguaglianze e quindi i percorsi per ridurle o annullarle nella idea del “migliore dei mondi” a cui aspirare, lavorando, nel frattempo, ad “un mondo migliore”.
Senza la misura sarebbe anche indefinito il concetto di sostenibilità e di equità intergenerazionale. O, peggio ancora, senza misurare la sostenibilità ci potremmo trovare – e ci siamo – a “compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.
Ecco, se un safety tutor in autostrada misura la velocità media riducendo il rischio di incedenti – anche per chi potrebbe esserne solo vittima – é giusto che le nuove generazioni non siano travolte dalla velocità bulimica dei padri e delle madri.
Nel 2015 – l’anno della Laudato Si’ di Papa Francesco e dell’accordo di Parigi contro i cambiamenti climatici – l’ONU ha approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile definendo 17 obiettivi e 169 target verso cui andare. Quindi nel 2015 é stata fotografata una condizione – direi una “grandezza” la cui tendenza sarebbe stata insostenibile – ponendosi dei traguardi: un’altra grandezza da rendere sostenibile.
Si è misurata quindi una distanza e inevitabilmente un percorso per offrire giustizia soprattutto alla future generazioni.
Quindi, se la sostenibilità è un fine (perché in sé rappresenterebbe un mondo migliore), la misura é mezzo.
Abbiamo pensato che non sarebbero bastati i documenti, le parole e le buone intenzioni della gran parte dei Capi di Stato e di Governo che hanno sottoscritto accordi e condiviso priorità e che bisogna pensare a strumenti (mezzi) che possano guidare territori, persone, decisori pubblici ed aziende private a partecipare ad una sfida epocale.
Abbiamo pensato che all’appello accorato di Bob Kennedy all’università del Kansas nel 1968 (“il Pil non misura la felicità”) e l’importante intuizione in Italia dell’ISTAT di introdurre gli indici B.E.S. (Benessere Equo e Sostenibile) fosse necessario provare ad aggiungere qualcosa, a sperimentare ed integrare altre modalità, strumenti e dati.
Da qui é nato, in collaborazione con The Data Appeal Company, il progetto “Goal 2030” – la combinazione di dati web e satellitari con intelligenza umana ed artificiale – (link) e il protocollo d’intesa con la Rete dei Comuni Sostenibili che nel frattempo aveva avviato una sperimentazione molto interessante su un set di 101 indicatori per misurare e, quindi, accompagnare gli enti e le comunità  locali ad essere protagonisti per realizzare i 17 obiettivi e i 169 target dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Con altrettanta chiarezza é giusto dire che non si tratta di indici e misure “convenzionali” ma, senza dubbio, di una sperimentazione e di un percorso di innovazione che da una parte saranno migliorabili con la partecipazione e con il confronto e dall’altra rappresenteranno comunque un valido, originale e concreto cruscotto per i decisori pubblici e privati, e per i cittadini una possibile mappa per giudicare, e quindi scegliere, i governanti e un consumo consapevole che dia giustizia alle future generazioni. E alla vigilia di importati programmi di investimenti grazie alle risorse messe a disposizione dalla UE, questo percorso potrebbe misurare insieme alla sostenibilità la qualità della democrazia rafforzando la cittadinanza attiva.

 


Credits. Immagine di copertina di Arek Socha da Pixabay
Piero Lacorazza
Direttore Civiltà Appennino
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