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Civiltà Appennino

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La Civiltà al tempo delle nuove macchine

Di Gianni Lacorazza

Sinisgalli e  i 70 anni di Civiltà delle macchine. Una stagione che cambia la comunicazione aziendale ed il marketing moderno. Oggi spunto di nuovi modelli sociali.  

Gli anni del “miracolo economico” sono stati per l’Italia quelli che probabilmente hanno maggiormente inciso sulla costruzione del Paese di oggi; un periodo unico e irripetibile di profonda trasformazione sociale che ha fatto da ponte tra un passato identitario ed un futuro con lo sguardo sul mondo, trasportando nella modernità la gran parte delle cose migliori della nostra storia per consegnarle ad un nuovo sistema in pieno sviluppo.

Trascorsi gli anni dell’immediato secondo dopoguerra, i bisogni degli italiani andavano via via cambiando: passavano da quelli primari di una casa confortevole, di caldo, protezione e salute a nuovi bisogni di status: cresceva negli italiani la ricerca dell’acquisizione e del possesso di “beni-simbolo” di riscatto sociale ed economico. La lavatrice, il frigorifero, l’automobile.

A gennaio del 1954, ad esempio, anche la Rai avviava le trasmissioni; la scatola magica cominciava ad entrare nelle prime case di pochi e nei sogni di tanti italiani e si inaugurava una vera rivoluzione culturale.

In quegli anni tutto stava cambiando. Ma accanto all’azienda di Stato, che irrompeva così nella comunicazione pubblica e sociale, ad essere protagoniste furono ancor più le grandi aziende private italiane e i loro manager.

La comunicazione e il marketing contemporanei, affondano di fatto le radici nelle intuizioni di quei pionieri che con le loro imprese hanno saputo caratterizzare la creazione e la crescita di percorsi di promozione e pubblicità sempre più strutturata, dettando tempi di sviluppo, ricerche, nuovi modelli da seguire, sin dai primi decenni del secolo scorso.
Se vogliamo partire col citarne uno prima di tutti, è facile pensare ad Adriano Olivetti, che già nel 1938 affidò il suo ufficio tecnico di pubblicità (una sorta di agenzia interna con molti elementi comuni alle attuali agenzie pubblicitarie) per la prima volta ad un intellettuale, chiamando alla sua corte quel Leonardo Sinisgalli con cui di fatto avviò la stagione di collaborazione tra intellettuali e manager di grandi imprese nella comunicazione.

Ma a cosa servivano gli intellettuali nell’industria? Perché coinvolgerli?

Negli anni ‘50, quella che prima della guerra era solo una visione di pochi illuminati, è invece diventata una risposta strutturata a questa domanda e da allora ha fortemente caratterizzato l’approccio al marketing moderno.
Intellettuali, letterati, artisti erano sempre più impegnati nelle aziende, portando la loro creatività al fine di creare un “valore aggiunto percepito” – che caratterizza particolarmente l’attuale concetto di branding – mirando ad intercettarne i bisogni del consumatore o, ancor più, tendendo addirittura a condizionarli (i bisogni), alla continua ricerca di spunti creativi che fossero un passo oltre la linea del consueto.
Motivare a possedere, utilizzando i diversi media allora a disposizione, era la nuova frontiera da raggiungere e abitare il più possibile in un contesto socio-economico caratterizzato dalla ricerca di un acquisto “più gratificante”.

Nel 1953, Leonardo Sinisgalli veniva già da una sua particolare storia in questo mondo, avendo sperimentato da protagonista il modello prima in Olivetti e poi, dopo la guerra, dal ’48 al ’52, fondando e dirigendo con Eugenio Luraghi e Arturo Tofanelli, la “Rivista Pirelli” per l’omonima casa.

In quell’anno sempre Luraghi, passato a Finmeccanica, sentì che era arrivato il momento per un ulteriore salto di qualità nell’idea di house organ aziendali, considerando che la finanziaria di Stato che dirigeva aveva in scuderia molte grandi aziende italiane, e dunque un autorevole pulpito capace di rispondere alla crescente necessità di uno strumento non semplicemente di comunicazione dei brand ma soprattutto che orientasse la cultura non solo economica del paese attraverso la voce di grandi player. Una necessità pensata e percepita ovviamente innanzitutto da menti che avevano una visione più lunga e dunque proprio con Sinisgalli, come al solito al suo fianco, fondarono “Civiltà delle macchine”, che l’intellettuale di Montemurro diresse poi per cinque anni, fino al 1958, per un totale di 31 numeri.

Della rivista, e dei suoi 70 anni compiuti in queste settimane, ne stanno parlando in tanti: letterati, professori e studiosi appassionati, a partire dalla Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine che da qualche anno ha ripreso le pubblicazioni e che nei giorni scorsi ha celebrato l’anniversario addirittura coinvolgendo il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il Capo dello Stato ha parlato di Leonardo Sinisgalli – riconoscimento storico che vale la pena sottolineare – ma anche della filosofia che faceva da pilastro identitario alla linea editoriale della rivista: la “rivista delle due culture” in cui l’anima scientifica veniva fusa con quella umanistica, per “governare culturalmente” la dilagante paura dell’uomo a non farsi dominare dalla macchina. L’attenzione sempre costante ad un predominio della mente sulla tecnologia che avanza e rischia di fagocitare tutto.

Un’esperienza editoriale caratterizzata dal protagonismo di letterati e scienziati, di pittori e designer, di tecnici e studiosi chiamati a contribuire all’identità della “nuova” Italia che si faceva spazio in Europa, in un periodo di grandi trasformazioni.

In questo contesto, la lettura che qui proviamo a dare noi è proprio come tutto questo si innestava nella comunicazione e nel marketing dell’epoca fino a trasformarlo, considerando anche il parallelismo – utile oggi più che mai – con l’approccio contemporaneo alla sempre crescente invasione della tecnologia nella quotidianità, e come tutti ci interroghiamo sui rischi e sulle opportunità, sul “marketing della sostenibilità”, sulla spinta che la pandemia ha dato alla ricerca di una nuova dimensione human di noi stessi, dello slow life, dei territori interni e marginali che guardano al loro futuro con incertezza e speranza.
Ed in realtà, in tutto questo c’è proprio la nascita e la crescita di Civiltà Appennino; questa rivista web che nasce con le radici ben affondate nella visione sinisgalliana della Civiltà delle macchine e si impegna a guardare il mondo e la nuova Italia con la visione e non con la “di-visione”, con un Paese unito verticalmente da una dorsale e non diviso orizzontalmente dalla linea Nord/Sud, con l’idea di una società che può rifondarsi sull’innovazione a partire dalla aree più deboli e potenzialmente da valorizzare, guardando “dall’interno” le aree interne, costruendo e studiando nuovi modelli di sperimentazione culturale e sociale che ripartano dalla tecnica, dalla tecnologia, dalla scienza, per difendere la Civiltà.

In omaggio a Sinisgalli ed alla rivista “Civiltà delle macchine” anche questa nostra “nipotina” ne prova a seguire gli insegnamenti chiamando letterati, scrittori, docenti, scienziati, manager pubblici e privati a dare il proprio contributo, come Sinisgalli ha insegnato, di idee e provocazioni, di esempio e di stimolo alla Civiltà, al tempo delle nuove macchine.

Gianni Lacorazza
condirettore Civiltaappennino.it
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