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Civiltà Appennino

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Processi di rigenerazione circolari e coinvolgimento delle comunità

Come armonizzare il PNRR coi “tempi” delle azioni nelle aree marginali?

di Valentina Savino


 

Nascere in un determinato luogo, che sia una metropoli o un piccolo paesino dell’Appennino, non è mai una scelta. La scelta di rimanervi o di ritornarvi però spesso deriva da una contingenza di situazioni ed esperienze che determinano la volontà dell’individuo.

Difficilmente si ha da subito la consapevolezza di dove ci si trova e delle potenzialità che ci circondano, al di là di discorsi puramente geografici. Occorre a volte, come nel mio caso, traferirsi da un paesino di provincia nella città più densamente popolata del Meridione per motivi di studio e lavoro. Ho iniziato proprio in questo contesto ad approfondire i processi di rigenerazione urbana basati sulla cultura e, nello specifico, il tema delle periferie e delle aree marginali. Ho avuto modo di entrare in contatto con le buone pratiche culture-led, basate su processi partecipativi: le esperienze di finanziamento come Ex Fadda, nata dal programma della Regione Puglia “Bollenti Spiriti”, le Catacombe di Napoli, promosse dalla Fondazione di Comunità San Gennaro o la FOQUS (Fondazione Quartieri Spagnoli), ancora a Napoli.   Ho scoperto solo più avanti che in realtà tutte le scelte che mi portavano ad approfondire determinati temi erano il frutto delle esperienze che avevo intrapreso e maturato nel piccolo contesto dal quale mi ero allontanata, grazie ad iniziative ed attività culturali a cui avevo preso parte: da quelle della mia scuola di danza al corso teatrale, dall’associazionismo al coro parrocchiale.

Vivere in un piccolo paese di provincia è un percorso, non ci si improvvisa, non si può decidere di fare una vita ordinaria, di fare ciò che si farebbe a Roma o a Milano, subendo la città. Bisogna inventarsi cose straordinarie e ciò che questi territori sono in grado di restituire è tantissimo grazie al potenziale di innovazione offerto dalle comunità.

Il recente dibattito sulle aree interne ha ribaltato l’idea romantica dei borghi e le relative prospettive di sviluppo legate al turismo, aprendo una riflessione sulle opportunità che i paesi sono in grado di offrire a chi li vive quotidianamente. La crescita della domanda dell’uso di risorse, la crisi energetica ed economica e, non ultimo, la pandemia hanno portato ad interrogarsi sul rapporto tra “margine” e “centro”. Un nuovo modello “circolare” di produzione sembra essere un elemento di importanza strategica per raggiungere gli obbiettivi globali di sostenibilità, un cambio di paradigma che identifica la necessità di un uso razionale e di un adeguato riutilizzo di tutte le risorse, incluso il patrimonio culturale, che può innescarsi in un processo diverso di riconversione ed essere visto come driver per trasformazioni vitali ed attrattive, stimolando nuove prospettive per la comunità, utilizzando le risorse dell’ambiente e della natura, regolando i rapporti umani e sociali.

Tornata a Gesualdo in provincia di Avellino, dove attualmente vivo, ho intrapreso il Master ARìNT (Master di II livello “Architettura e Progetto per le Aree Interne e per i Piccoli Paesi” dell’Università Federico II), un’esperienza importante poiché, perfettamente in linea con queste tematiche, attraverso un percorso di formazione – ricerca – azione, sperimenta una circolarità di processo in cui dialogano studiosi, scrittori, ricercatori, amministratori.

In questi contesti spesso l’offerta culturale nasce dalla creatività individuale, fornendo potenti opportunità ed influenzando i comportamenti collettivi locali, come l’impegno da parte della comunità (Responsabilità Civile Condivisa).

Si osservano sempre più forme di organizzazione culturale, festival, esperienze di riuso adattivo e recupero, sperimentazione di nuove forme di artigianato ed eventi organizzati in ambiente rurale non solo per ritorni in termini economici, ma anche come opportunità per ridisegnare gli spazi.

Progettazione culturale, creatività diffusa, intreccio tra diversi attori del territorio, vecchi e nuovi arrivati possono generare una nuova economia rurale basata sulla valorizzazione del paesaggio e sul valore della lentezza.

I modelli delle imprese culturali e creative con la loro natura multidisciplinare possono essere visti come dei contesti abilitanti, in grado di generare coesione socio-culturale come conseguenza di progetti condivisi e co-costruiti. Fondamentale in questi processi è il potenziale rappresentato da attività locali tradizionali o antiche e pratiche rurali rinnovate nel quadro di nuove esperienze innovative e partecipative, riattivando tendenze economiche e sociali positive.

La progettazione di attività ed esperienze culturali è una grande palestra di impegno civico e politico, e contribuisce a rielaborare la rappresentazione delle comunità attraverso esperienze associazionistiche, sia promosse dagli enti sia nate in maniera spontanea. Nasce il concetto di Civica (Domenico Di Siena), come forza di aggregazione che sostiene la comunità di un territorio.

Affinché queste attività abbiano dei buoni esiti però sono fondamentali alcuni elementi: la costanza, la presenza, la ricerca sul campo, che prescindano dalle settorializzazioni ma che impegnino cittadini, studiosi ed enti territoriali insieme, con esperienze che spesso diventano dei veri e propri presidi territoriali “laboratoriali”. C’è bisogno per questo di una campagna ampia di ascolto e consultazione delle comunità e dei gruppi più o meno formalizzati a livello locale ed è costruttivo partire dalle molte esperienze già in atto, nate sulla scia di azioni locali strutturate o – come spesso accade – spontanee.

Negli ultimi seminari tenuti durante il Master abbiamo conosciuto le attività di Abita LAB avviate nel 2015 e ancora in corso, condotte all’interno di percorsi di “ricerca di frontiera”, operando con tutti gli strumenti di programmazione complessa, con strategie adattive per gli impatti sull’ambiente costruito dovuti ai cambiamenti climatici, in contesti urbani, industriali, rurali e di costa, capaci di configurare distretti autonomi e circolari. Altro esempio interessante è il caso dell’operato di Officina Giovani per le Aree interne, associazione di cui faccio parte da circa un anno, nata nell’ambito di Officine Coesione, progetto dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, che supporta le Amministrazioni titolari dei Programmi comunitari nella piena attuazione delle pratiche partenariali, in linea con il Codice Europeo di Condotta sul Partenariato, con la finalità di dare voce alle realtà territoriali facendosi interlocutore istituzionale. Sono esperienze diverse tra loro, ma con punti di contatto sostanziali: la partecipazione condivisa e la presenza costante sul territorio, elementi fondamentali per la buona riuscita di determinati processi.

In questo quadro le attività culturali e creative possono contribuire a promuovere il rispetto, la coesione sociale e l’inclusione, nonché la partecipazione della cittadinanza e l’empowerment delle comunità, ma anche visioni innovative e futuri sostenibili.

La contraddizione però che spesso vivono tali realtà è che questi processi basati sulla lentezza, diventando dei veri e propri presidi stabili, cozzano con le linee di finanziamento connesse al PNRR e ad altre misure in avvio con la nuova programmazione europea.

Non è solo questione di essere pronti alla realizzazione di un progetto in poco tempo e – spesso – con poche risorse, ma è piuttosto il quadro di riferimento dei diversi investimenti in cultura che rischia di essere in contraddizione con l’inclusività e la capacità di incidenza strutturale delle misure messe in atto. I processi partecipativi corrono il rischio di essere penalizzati dalla velocità e dall’efficientismo richiesti dalle tempistiche dei bandi, occultando processi locali virtuosi, avviati realmente dalle collettività, ma che hanno tempi e modalità di maturazione diversi e che spesso non filtrano nelle maglie molto strette dei circuiti di programmazione.

In definitiva si pone con forza un tema di presidio e monitoraggio, di reale coinvolgimento dei soggetti locali nei processi di elaborazione e implementazione delle azioni, talvolta già avviate seppur non formalizzate, senza il quale i progetti che si avvieranno difficilmente riusciranno a trasformarsi in reale volano per le aree interne del Paese.

È necessario chiedersi sin da subito cosa succederà quando il protagonista del processo verrà meno: cosa si lascia realmente alla comunità?

 


credit foto copertina: Prolocogesualdo, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
Valentina Savino
Architetto. Iscritta al Master ARìNT, Architettura e progetto per le aree interne e i piccoli paesi presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II.
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