Viaggio nei “paesi invisibili” dell’Italia rugosa
Il libro della giovane antropologa Anna Rizzo per ilSaggiatore
Di Nunzio Festa
“Nei paesi non esistono le donne, gli anziani, i bambini. Non esistono la cura, la prossimità, i diritti. Esiste un’umanità rara e silenziosa che arriva dove i servizi pubblici si interrompono. Nei margini di un’Italia lenta e rugosa, dove il sistema di reciprocità senza fine della comunità sostiene anche chi da solo non ce la fa, puoi scegliere se fermarti e metterti a disposizione degli altri o continuare a visitare il paese senza occupartene”.
Il solo incipit de “I paesi invisibili”, la sola introduzione al saggio dell’antropologa palermitana Anna Rizzo vale quanto uno degli ultimi libri di paesologia firmati. L’apertura del libro è in diretta dai margini in veste di Cilento, infatti: “dove è ancora possibile assistere a un mondo antico e sigillato, con una contemporaneità feroce e veloce”: “Stanno tutti insieme, il vecchio e il nuovo, le residenze d’artista e l’abbandono”.
Il discorso partecipato con le parole di Rizzo però parte da Frattura di Scanno, un piccolo punto di niente sul niente, direbbero i maligni, che prende il nome dall’imponente evento franoso del monte Genzana in età tardo-pleistocenica e in netto anticipo sui drammi più moderni e attuali, recenti. La studiosa, è ben spiegato, aderisce completamente al territorio dove è chiamata a svolgere la sua ricerca. Si mette nelle abitudini. Utilizza i pochi mezzi a disposizione, dagli alloggi alla strumentazione. Epperò proprio in virtù di questo, capisce. Prima di giungere a Frattura, comunque, Rizzo ha lavorato nella pugliese Ostuni. E in una pagina fondamentale del testo scopriamo, se ce ne fosse bisogno, di quando gli antropologi culturali lavorano a stretto contatto con gli archeologi e, per esempio, vedi il caso ostunense prima dell’incarico in Abruzzo: “(….) Si condivide tutto, dal bagno al sonno. Ci si confida, si studia, si viaggia e si esplorano luoghi inaccessibili alla maggior parte delle persone. Si hanno le chiavi di luoghi chiusi, si accede a grotte, si crea un rapporto inedito con animali che di solito fanno paura, come ragni, scarafaggi e bisce, e può accadere che i letti siano infestati di pulci, zecche e pappataci”.
Tutto il primo tempo del libro scritto da Anna Rizzo descrive la predisposizione del metodo. Poi si comincia con l’esempio del campo di ricerca di Frattura di Scanno: “La frazione ha due insediamenti: uno distrutto dal terremoto della Marsica del 1915 e il nuovo centro abitato, ricostruito a un chilometro di distanza, secondo l’edilizia rurale fascista dell’epoca”. Dove vivono e sopravvivono “fenomeni migratori e pastorizia residuale”. Luoghi da quali Rizzo attinge storie, in pizzicotti all’umanità fatte dalle tante Rosa restanti in Abruzzo e Molise come in Campania, Calabria e Basilicata, o mozziconi di memorie individuali che possiamo salire a Saltura in Liguria,
Toscana e altri segmenti di Nord diffuso. Dalle minuscole Pulica perfino a Giuncano; a Pulica, per dire, dove si trovò l’uomo più preistorico che ci sia, sotto l’ombra scura delle gesta dei Malaspina.
A Giucano dove sono più i clienti per serata del ristorante con vista sulla Val di Magra che gli abitanti fissi. Nelle isole italiote, al tempo delle truffe dei latifondi trasformati in masse di numeri per recuperare illecitamente i soldi dell’Unione Europea.
Nel capitolo intitolato “Lo spopolamento delle aree interne”, l’autrice premette che queste corrispondono al trenta per cento del territorio italiano e che queste sono visitate da tredici milioni di persone. Poi riferisce che nelle aree interne il mancato sviluppo è conseguenza di un’effettiva diseguaglianza “rispetto al resto del territorio e alle città”. Concetto d’altronde impossibile da controvertire. Abbiamo migliaia di fotografie e documenti video che sostengono inoltre la considerazione successiva di Anna Rizzo: “I piccoli paesi sono luoghi sempre più spopolati, difficili da raggiungere, dove manca tutto, dalle infrastrutture alla sicurezza delle strade”. Tranne quando queste certezze si vogliono sotterrare. Negli eventi estivi, alle manifestazioni finanziate magari da sponsor spesso pronti a ripulirsi un’immagine pubblica, volendo, criticabile.
Paesi che si “spengono piano piano nel silenzio degli inverni”. Paesi “destinati a scomparire nel corso dei prossimi anni”. E vediamo le poche persone, resistenti, rimaste a Fosdinovo (Massa Carrara) e nelle sue campagne – nonostante le giornate di eventi estivi e la stessa esistenza del Museo Audiovisivo della Resistenza, ad Aliano, nelle terre basilische – nonostante le serate estive della Luna e i calanchi insomma.
Interessante, in questo contesto di riflessione, alcune puntuali righe dell’antropologa siciliana: “I paesi hanno un ruolo sociale ben definito: sono l’intrattenimento televisivo della domenica. Raccontati in maniera seriale, campanilistica, per cliché, sono i posti dove fare l’esperienza della vigna e della mietitura, sono diventati pacchetti turistici da vendere”. Un recente esempio ne abbiamo avuto con le presentazione della Calabria, ma perfino con il lancio della Liguria con la modella di turno. Invece i paesi vanno chiamati ognuno con il suo nome. Senza farli scadere nell’omologazione della categoria “aree interne”. Seppure non è vero che non sappiamo perché le persone questi paesi li hanno abbandonati. Lo sappiamo bene, al contrario. Tanto che la risposta la da sempre Rizzo poco più avanti, quando marca il punto più alto di tutti. Viveva, vive e vivranno, alcune cause ben precise. Che hanno nomi chiari quanto quelli dei paesi stessi. Clientelismo, corruzione, controllo del territorio. Ovunque.
“I paesi invisibili. Manifesto sentimentale per salvare i borghi d’Italia”, di Anna Rizzo, Il Saggiatore (Milano, 2022), pag. 162, euro 17.00.
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