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Civiltà Appennino

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L’Appennino molisano e l’arte radicale e visionaria di Charles Moulin

di Gianni Palumbo


 

Il Monte Marrone, sull’appennino molisano al confine con Lazio e Abruzzo, è alto poco più di 1800 metri. Con ogni evidenza all’escursionista appare, come tutte le Mainarde molisane nelle quali è armoniosamente incastonato, come un’imponente rocca, straordinariamente ricca di colori e con una natura rigogliosa e vitale.

Da quelle parti passava la linea Gustav che, durante la Seconda guerra mondiale, fu teatro di sanguinose battaglie e di eroica Resistenza contro i soprusi del nazi-fascismo. Qualche decennio dopo, l’intero comprensorio montuoso a cavallo di più regioni, è diventato patrimonio collettivo grazie a diversi regimi di tutela a partire dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise di cui, il monte Marrone e la catena delle Mainarde, sono parte integrante pur essendo poco conosciuti e ai margini delle principali mete turistiche. In tempi recenti, su proposta dell’Associazione Italiana per la Wilderness, il Comune di Rocchetta al Volturno ha istituito l’area Wilderness “Monsieur Charles Moulin”.

Le caratteristiche di isolamento, di armonia tra colori e natura, di luce con frequenze che restituiscono colori straordinari al paesaggio a seconda degli orari della giornata, furono notate, all’inizio del ‘900, da un pittore francese, amico intimo di Henry Matisse, col quale aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti a Parigi: Charles Lucien Moulin.

Moulin era nato a Lille nel 1869 e vinse, nel 1896, il Prix de Rome, premio concesso dall’Accademia di Francia per continuare l’esperienza artistica in Italia, in alcuni dei luoghi del Grand Tour, e in particolare tra Villa Medici – a Roma – e Anticoli Corrado, quel borgo in terra romana, conosciuto come il “paese degli artisti e delle modelle”, perché nel corso dell’800 fino alla prima metà del ‘900, molti artisti stranieri affittarono lì delle stalle per trasformarli in studi e abitazioni.

Durante i continui viaggi tra Francia, Italia e talvolta negli Stati Uniti, conosce a Lille e a Parigi, due zampognari italiani che tradizionalmente vivevano un po’ raminghi in un’epoca nella quale espatriare per lavoro era anche consuetudine, specie per chi proveniva dalle regioni della dorsale appenninica d’Italia.

I due zampognari posarono per Moulin, lo testimoniano in tal senso alcune opere dell’artista francese, e mentre posavano raccontavano i pregi della propria terra d’origine.

Intrigato da tali racconti Moulin, nel 1911, andrà a Castelnuovo al Volturno, ai piedi del Marrone, e quella che avrebbe dovuto essere una breve visita si trasformò in una folgorazione durata un anno.

Tornerà successivamente, dopo la Prima guerra mondiale, nel 1919, e a quel punto il trasferimento sarà definitivo. Questo incredibile artista, amico intimo di Matisse e contemporaneo di altri grandi artisti del tempo, da Degas a Gaugin, da Renoir a Van Gogh, da Manet a Chagall, da Cezanne a Magritte, decide scientemente di abbandonare i fasti dell’Accademia per vivere con semplicità sui monti un po’ appartati ma austeri e bellissimi dell’Italia appenninica.

Costruisce un modesto rifugio in pietra e legno a ridosso della cima del Monte Marrone e vive li come eremita, in particolare nei mesi estivi. Durante il tempo gelido dell’inverno sarà, altrettanto appartato, in un rifugio simile costruito sempre dalle proprie sapienti mani, al Collerosso, stavolta vicino al paese di Castelnuovo dove lo chiamavano simpaticamente “M’ssiu Mulà”!

Dall’uno e dall’altro rifugio godeva di un panorama eccezionale, fonte di ispirazione per la propria arte, a cavallo tra il possibile, ma giovanile e mai completo, abbraccio accademico al realismo, l’impressionismo quale movimento di approdo di molti suoi contemporanei e il più consono simbolismo al quale sembra maggiormente adeso dalle risultanze di un’accurata analisi (dello storico e critico d’arte Tommaso Evangelista) delle sue opere artistiche, disperse, soprattutto, in case di umili cittadini o in collezioni private. Tuttavia, imbrigliare Moulin in uno stile, in una corrente, in un movimento artistico del suo tempo, risulta impresa impossibile. Artisticamente sbatte contro la pittura del Novecento, “piena d’inquietudine e di incertezze – come egli la definì, – una pittura da sbandati, che rispecchia il male del secolo, dell’uomo moderno che cerca di salire sulle proprie spalle per non essere schiacciato dal vuoto che ha nel cuore…”.

 

Moulin setaccerà e incontrerà nella luce la chiave interpretativa della propria ricerca e nei colori pastello, a cui ne affida la rappresentazione grafica della medesima, il tramite attraverso il quale compiere il proprio percorso artistico.

Un percorso esistenziale che è anche umano, spirituale, naturalistico e così radicale e controcorrente da sembrare a tratti – anche per via della scelta di isolarsi per lunghi periodi sulla vetta di Monte Marrone, in compagnia di cervi, camosci e orsi – profondamente anarchico, anziché bizzarro e bucolico; e non solo perché agisce controcorrente ma in virtù del conferimento al proprio percorso intimo di un pregno significato sociologico e di un portato esistenziale originale e possente, tanto da avere del politico (in senso ovviamente lato) nella scelta personale di dare luce e colore alle proprie opere: “Si devono sposare i colori e l’intensità di luce, il matrimonio deve dare la felicità” – sosteneva. “Io cerco la composizione, il momento, l’ora, che meglio permettono di mettere in luce il sentimento del soggetto… Non cerco mai la stranezza nell’originalità: faccio e agisco solo secondo coscienza. Ho potuto conservare la mia libertà e non mi è costato. Ho sempre sentito di non poter diventare ricco e di non veder chiaro nei miei problemi di pittura che in solitudine e molto tardi: adesso comincio a capire il perché delle cose. Se il fine della vita è l’aspirazione alla felicità, l’Arte deve, in misura dei suoi mezzi, contribuire a questo fine, seminando serena commozione e splendore di bellezza … Il principio e il dovere dell’artista è di essere l’archetto del violino delle anime e di farle vibrare: è d’essere un germe di felicità”.

Moulin sa di essere isolato nel contesto di bellezza del mondo agro-silvo-pastorale nel quale aveva deciso di trascorrere il resto della propria esistenza. Quell’isolamento nell’Italia interna determinerà la grandezza di un pittore ancora poco studiato che addiviene alla maturazione artistica grazie alla costruzione di un percorso, quasi un viatico esistenziale e professionale, per Moulin non altrimenti possibile nel mondo dei mercanti e dell’Accademia ufficiale. Sarà indirettamente egli stesso ad esplicitarlo, oltre che con la radicale scelta di vivere come ha vissuto, anche con affermazioni risolutive che rispecchiano in una proporzione uno a uno la condizione esistenziale: “Io non vivo d’arte, vivo per l’arte (…) L’arte per me è la precisione con forme materiali dell’immateriale, il suo scopo è di commuovere e di incantare.” Insomma, per Moulin l’arte trascende sé stessa e in quanto tale si smaterializza, “l’arte non si paga”, amava ripetere quando regalava un ritratto ai Castelnovesi in cambio di un piatto caldo e la convivialità durante un pasto.

Si narra che sia stato un amore non corrisposto, per una tale Emilie, uno dei fuochi interiori a muoverlo dalla Francia verso nuove mete. Questa ragazza, ritratta da Moulin, è visibile in un’opera conservata al Museo di Belle Arti di Lille (Portrait de Madame Pérard) e sembra incarnare l’archetipo della figura femminile che Moulin ha sempre tenuto in grande considerazione, come mi hanno testimoniato Antonietta Izzi Rufo e Tina Castrataro, due ultranovantenni a suo tempo ritratte dall’artista e col quale entrarono in un intimo rapporto umano, sebbene mai avrebbe sacrificato a una donna il proprio amore per l’arte: “La donna – sosteneva Moulin – è una creatura sublime, soggetto d’arte. Io avrei dovuto scegliere o l’una o l’altra e ho scelto l’altra; nessuna avrebbe mai potuto capire fino in fondo la mia vita e sarebbe stato ingiusto da parte mia imporgliela. Lega tra loro due uccelli: avranno insieme quattro ali, ma non potranno mai volare…”.


 

 

credits: foto fornite dall'autore

 

Bibliografia

Castrataro Tina, da un’intervista rilasciata a Gianni Palumbo a Castelnuovo al Volturno (Isernia) il 22 luglio 2021;

D’Acunto Sabino, Charles Moulin, L’Araldo della Stampa, Roma 1969;

Evangelista Tommaso, Charles Moulin. Un’impressione critica in D. Catalano, R. Venditto (a cura di), Pittura in Molise: Luoghi e Personaggi, “ArcheoMolise”, anno V, n.16, Luglio-Settembre 2013

Evangelista Tommaso, Charles Moulin: lettura critica dell’opera di un artista atipico. Dalla verità di natura alla bellezza divina – Estratto dall’intervento al convegno “Charles Moulin: analisi di un mito”. Castel San Vincenzo 30-31 ottobre 2015;

 Giorgio Pierluigi, Moulin, il Poeta del Pastello – documentario, 75 min., Mad Video, 2015;

 Izzi Rufo Antonietta, da un’intervista rilasciata a Gianni Palumbo a Castelnuovo al Volturno (Isernia) il 22 luglio 2021;

Izzi Rufo Antonietta, Ho conosciuto Charles Moulin, Associazione Il Cervo, Castelnuovo al Volturno, 1998.

Gianni Palumbo
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