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Civiltà Appennino

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Il giornalismo di oggi è in grado di raccontare l’Appennino?

di Gianmichele Laino

Guardiamo un notiziario nazionale o apriamo uno dei principali quotidiani italiani. Quand’è che troviamo delle informazioni che provengono dall’Appennino? In un giorno qualsiasi dell’anno è verosimile non trovare altro se non poche righe di riempimento, magari nella sezione Viaggi, circondate sempre da un alone di misticismo, tipico delle scoperte che interessano alla nicchia.

Quando, però, si è costretti a parlare di grandi terremoti, di gialli tirati fuori dalla provincia profonda o, magari, di quelle tappe interlocutorie del Giro d’Italia che vengono disegnate nella seconda settimana della corsa, ecco che la stampa italiana si scopre grande esperta di Appennino. La spina dorsale dell’Italia diventa il polo attrattore dell’ecosistema informativo: le grandi firme racconteranno le cosiddette ‘storie’, offerte al grande pubblico con la pretesa del piccolo pamphlet antropologico, il dramma verrà reso meno aspro dalla ‘nota di colore’, meglio ancora se di matrice enogastronomica.

La riflessione che ha animato l’idea di un focus sugli “scenari appenninici” del giornalismo italiano parte proprio dall’esigenza di un racconto della linea verticale del nostro Paese che sia competente e partecipato. Del resto, le energie giornalistiche e la tradizione non mancherebbero a un’area che, sebbene protetta (e a volte nascosta) da boschi e montagne, ha sempre ambito a entrare nella temperie culturale delle diverse epoche.

La sola Basilicata, ad esempio, nel 1987 contava già 255 pubblicazioni periodiche: un dato che rispecchia la voglia di far parlare di sé e di alimentare un dibattito vivace intorno a una quotidianità che nulla aveva da invidiare ad altre realtà nazionali. C’è un racconto giornalistico dell’Appennino, dunque, possibile anche al di là delle tragiche occasioni dei terremoti che ne modificano continuamente la geografia, che superi il giallo di Meredith Kercher a Perugia, che esalti anche altri miti, oltre a quello di Marco Pantani che vince in solitaria tra i muri di neve del Gran Sasso.

L’indagine sul giornalismo appenninico deve prendere in considerazione gli esempi che hanno fatto scuola (i pionieri di un tempo e gli stoici colleghi delle cronache locali) e deve mettere in luce anche quelle che sono le nuove professionalità che il territorio produce e che l’opportunità, purtroppo, sradica. Le nuove tecnologie, la specializzazione, le esperienze professionalizzanti imporrebbero una maggiore attenzione: persino gli over the top (da Facebook a Google) stanno realizzando che l’informazione è tanto più accurata, quanto più è geolocalizzata. Le condizioni del mercato, invece, impongono un racconto ‘delegato’ dell’Appennino, perché più economico. Chi invece vorrebbe costruirne una narrazione più moderna e partecipata è costretto a sopravvivere altrove.

 

 

Gianmichele Laino
Lucano classe 1989. Laureato in Filologia classica all’università di Pisa, si specializza alla Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss. Giornalista professionista dal 2016, scrive, approfondisce e riflette per Giornalettismo. È autore del romanzo Come nuvole d’incenso.
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