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Civiltà Appennino

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Il futuro delle aree interne. La risposta è nelle domande

di Piero Lacorazza

“… Dunque: noi vogliamo sapere, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?  Sa, è una semplice informazione…”

É Antonio De Curtis in “Totò, Peppino e la Malafemmina”.
Mi è ritornato più volte in mente questa scena del film nella tre giorni di incontri, seminari, focus group a Montemurro e Grumento Nova, nell’Appennino lucano; una ricerca sul campo promossa in particolare  dall’IRPSS CNR e IRISS CNR per approfondire i temi della valorizzazione culturare e la rigenerazione dei territori delle aree interne.
Altri istituti del CNR (ISMED, IC e ISPC), con l’Università degli Studi della Basilicata e il Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini dell’Università del Molise, hanno concorso a stimolare riflessioni, parole e posture di una numerosa e qualificata rappresentanza della comunità locale.
Per andare dove? E con chi?
E se dicessi che dalla tre giorni di focus group non sono arrivate risposte (soluzioni)?
Si potrebbe concludere che la missione é fallita.
Anche Totò nel chiedere informazioni, a suo modo, non ha avuto risposte dal Generale austriaco (il vigile milanese).
Proviamo a rovesciare il piano e cambiare il punto di osservazione.
Quando si discute di possibili strategie per le aree interne sarebbe utile spezzare la retorica della richiesta di “risposte”, di semplificazioni miracolistiche ed esiti aritmetici.
Per evere una risposta serve la domanda. La domanda non può essere: “… Dunque: noi vogliamo sapere, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?  Sa, è una semplice informazione…”

In profonda crisi demografica si può parlare di ripopolamento delle aree interne?
Ha senso una scuola in un piccolo comune? Quanto può resistere e che tipo di formazione può garantire?
Ma il sistema scolastico attuale è adeguato ad un’offerta di qualità anche nelle aree interne?
Quando pesa il turismo nell’economia locale? Basta solo parlare di turismo? Si può prescindere dalla produzione e da processi che generino lavoro nell’artigianato, nel manifatturiero e nell’agricoltura? La ruralità è una dinamica produttiva o bucolica? É possibile un’autonomia che premi ed incentivi coloro che operano nei servizi pubblici per garantire la piena esigibilità di diritti di cittadinanza? Le comunità energetiche sono un nuovo modo per alimentare processi di partecipazione e di uso consapevole delle risorse? La riorganizzazione dei sevizi mobilità può favorire il concetto d’uso più che di possesso? Il sistema di trasporto è al passo con il trend demografico e l’invecchiamento della popolazione? La fiscalità di vantaggio può essere una leva per sostenere la produzione, il lavoro e il telelavoro? La telemedicina è davvero uno strumento che riduce distanze e divari? Le reti tempo dipendenti (infarti, ictus, e traumi gravi) potranno garantire tutti i cittadini in montagna e in pianura?

Si potrebbero aggiungere altre domande. Domande che attraversino la realtà.

Chiudo con un domandone, con una provocazione che è stata al centro di qualche riflessione a Montemurro, tra una slide e un bicchiere di vino consumato nella Taverna Appennina parte di una rigenerazione – una risposta – di un palazzo secolare sede della Dimora Appennino e della Fondazione Appennino ETS.

Cosa ne facciamo del patrimonio edilizio ed in particolare dei centri storici dei paesi ai margini, interni ed appenninici?

Ne contempliamo il gusto della decadenza, della insicurezza, della inagibilità e dell’inaccessibilità?
Andiamo oltre la risposta della rigenerazione completa e del ripopolamento. Consideriamo in parte – ma molto in parte – l’idea dell’albergo diffuso perché non tutti i paesi possono avere una vocazione turistica e privati (perché non può farlo il pubblico!!!) in grado di renderli “produttivi”.
Forse é arrivato il momento di chiamare a raccolta competenze ed energia visionarie e coraggiose che ripensino, conservando traccia della storia (oggi é possibile anche con la tecnologia), la rigenerazione del patrimonio edilizio, modelli, piani, strumenti e legislazione. Non credo che sia la domanda giusta un’urbanistica che per salvare tutto non salverà nulla nelle aree interne. Probabilmente mi sbaglio ma almeno mi interrogo ed interrogo chi ha maggiori conoscenze e competenze di me per tracciare una nuova rotta meno romantica e piu concreta.

Ecco perché la ricerca è utile, direi indispensabile per nuove domande.
Ecco perché le risposte non sono una semplice replica ad un interrogativo ma sono tali se generano davvero trasformazioni ed evoluzioni dentro il tempo che viviamo preparando il futuro.

Ecco perché la tre giorni di incontri, seminari e focus group tenutasi a Montemurro e Grumento Nova il 5,6 e 7 maggio é stata un successo.

Tre giorni che segnano una tappa di un percorso che si fa sempre più intenso e partecipato. Queste riflessioni – e queste domande – ci accompagneranno anche il 25, 26 e 27 maggio, alla prima edizione del Festival del lavoro nelle aree interne che Fondazione Appennino sta organizzando a Soveria Mannelli, nelle aree interne della provincia di catanzaro, in collaborazione con Respro – Rete di Storici del Paesaggio e Rubettino Editore. Una serie di incontri con esperti e studiosi per affrontare finalmente lo spinoso tema della produttività nelle aree interne d’Italia, dove in realtà si concentra buona parte della produzione italiana nonostante una narrazione a vantaggio dei grandi centri.

Ci porremo domande nuove, in questa nuova ottica di chi le aree interne le frequenta oltre che le studia e ne sta provando a progettare un futuro che unisca davvero domande e risposte. Senza chiedere semplicemente “dove andare”, ma provando a camminare mentre si costruisce una strada.

Totò – la realtà – potrà forse formulare meglio al “generale austriaco”, in futuro, le domande giuste.

Piero Lacorazza
Direttore Fondazione Appennino Condirettore Civiltà Appennino
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